Quando Antonio Cabrini si trasferì a Cremona dalla nonna, lui che era cresciuto tra Casalbuttano e Casalverde a pochi chilometri dal capoluogo, aveva 13 anni, voleva diventare perito agrario e per lui il calcio non era che un divertimento. Giochicchiava nel San Giorgio, squadra proprio di Casalbuttano, faceva l’ala con propensione al gol, poi un giorno la sua vita cambiò per sempre: quasi per scherzo si presentò a un provino per entrar a far parte delle giovanili della Cremonese, tra cinquanta ragazzini mister Nolli, ex giocatore della Samp, notò proprio lui, anche se per gli Allievi dei grigiorossi serviva un terzino sinistro. Cominciò allora l’avventura di Cabrini, con l’esordio in Serie C a 16 anni in quel di Empoli, allenatore Titta Rota: abbandonò gli studi per fare il calciatore a tempo pieno, a 18 anni si trasferì a Bergamo per la sua prima stagione di Serie B con l’Atalanta. In realtà le sue prestazioni erano già state notate dalla Juventus che ne acquisì parte del cartellino, poi dopo l’ottimo campionato in cadetteria con gli orobici, i bianconeri lo riscattarono per 700 milioni di lire: non aveva ancora compiuto 19 anni, l’età in cui esordì con la maglia della Vecchia Signora nella stagione 1976/77 il 13 febbraio a Torino contro la Lazio, vincendo per altro 2-0.
Nessuno in quella fredda domenica d’inverno poteva immaginare che l’esordio di quel bellimbusto con la faccia da attore sarebbe stato il primo tassello di un mosaico stracolmo di partite, gol, emozioni, tutte con la maglia a strisce bianche e nere della Juve e quella azzurra della Nazionale Italiana. A venti anni Enzo Bearzot lo convocò tra il clamore generale a difendere i colori italiani nel Mondiale argentino del 1978: in azzurro esordì proprio nella rassegna iridata, era il 2 giugno ’78 e a Mar del Plata l’Italia batté la Francia per 2-1. Giocò tutte le partite di quel Mundial, quando tornò a Torino la sua maturazione, nonostante avesse appena 21 anni, era ormai completata. Vinse tutto con la Juve giocando come terzino sinistro fino al 1989, 440 presenze con 52 gol, sette scudetti e tante altre coppe, diventando tra l’altro campione del mondo con l’Italia nel 1982: Cabrini negli anni ’80 era considerato uno dei fluidificanti mancini più forti del mondo, grande fisico e grande corsa, ottimo tiro da fuori, tempismo nei colpi di testa e un piede delicato che a volte lasciava pensare fosse sprecato in quella posizione. Le donne lo amavano, lui apprezzava, poi sposò Consuelo, si trasferì a Bologna dove giocò per due anni fino al 1991 quindi appese gli scarpini al chiodo.
Smesso di giocare a 34 anni, una quasi normalità per l’epoca (oggi sarebbe un ritiro precoce), il Bell’Antonio si dedicò per un po’ alla famiglia in quel di Bologna: nel 1984 era nata Martina, poi laureatasi in Economia e Commercio, quattro anni dopo vide la luce Edoardo, ex portiere del San Lazzaro e ora agente Fifa; col finire del millennio il richiamo del mondo del calcio lo condusse a intraprendere la carriera di allenatore, un’esperienza avara di soddisfazioni allenando Arezzo, Crotone, Pisa e Novara. Nel 2007 divenne addirittura commissario tecnico della Siria, dopo un anno però finì l’avventura a Damasco e decise che era l’ora di dire definitivamente basta col mondo del calcio. Faceva l’opinionista in tv, intanto scriveva il suo primo romanzo noir (“Ricatto perfetto”), partecipò all’Isola dei Famosi nel 2008 e provò anche la carriera politica con l’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro. Confuso sul da farsi e con un futuro incerto, nel 2012 ricevette dalla FIGC la chiamata che aspettava: l’incarico di selezionatore della Nazionale Femminile di Calcio. Oggi Antonio Cabrini è il ct dell’Italia femminile e spera di qualificarsi per i Mondiali in programma fra un anno in Canada.
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